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IN SINTESI
Ripercorrendo il 2024, se mettiamo a confronto ciò che è accaduto sui mercati con le stime di consenso di inizio anno, notiamo una certa discrepanza. Secondo il consenso, ci sarebbe stata una qualche forma di recessione basata sull’aumento della disoccupazione e su tassi di interesse elevati per tenere sotto controllo l’inflazione. I tassi di base negli Stati Uniti erano superiori al 5%, mentre il Treasury a 10 anni viaggiava a quota 3,8%, lasciando intendere che il mercato si aspettava tagli drastici dei tassi per contrastare l’atteso calo della crescita. Nulla di tutto ciò è accaduto.
Per quale motivo? Sia i consumi che il mercato del lavoro statunitensi hanno dimostrato una notevole resilienza; la crescita degli Stati Uniti si è mantenuta superiore al trend di lungo periodo. Un altro importante fattore di dinamismo è corrisposto al boom degli investimenti aziendali riconducibili all’intelligenza artificiale, illustrato in modo esemplare dal fatturato di Nvidia, più che raddoppiato solo quest’anno. Negli Stati Uniti la fiducia dei consumatori non ha avuto cedimenti, le opportunità di lavoro sono abbondanti (anche se il numero di nuove posizioni aperte si sta stabilizzando) e i salari reali sono cresciuti.
Lo stesso non si può dire dell’Europa, per tutta una serie di motivi. Il settore manifatturiero tedesco sta perdendo quota da inizio anno, trascinato al ribasso dal settore automobilistico e dalle importazioni a basso costo dalla Cina, dove è presente un evidente problema di eccesso di offerta. Il settore tecnologico europeo ha dimensioni molto più ridotte rispetto a quello statunitense, per cui la crescita degli utili non ha beneficiato degli stessi stimoli. Il quadro politico è instabile e il quadro fiscale è fragile, mentre i costi energetici rimangono elevati rispetto agli Stati Uniti. La fiducia è bassa e scarseggiano dinamiche di crescita evidenti. Ci sono, tuttavia, aspetti positivi? I mercati azionari stanno scontando la mancanza di crescita attraverso valutazioni con uno sconto record rispetto agli Stati Uniti, cui si aggiunge un Euro piuttosto debole rispetto al passato. La minaccia di un aumento dei dazi doganali da parte degli Stati Uniti incombe: difficilmente si potrà fare chiarezza finché non si sarà insediata la nuova amministrazione statunitense. Ciò significa che il processo decisionale societario si trova a dover affrontare una situazione di incertezza e che le aziende rinviano gli investimenti. Se i peggiori timori non dovessero concretizzarsi, potrebbero aprirsi spiragli per un miglioramento della crescita.
Un fattore rilevante per l’attività europea è rappresentato dal rallentamento dell’economia cinese. Le misure di stimolo annunciate da Pechino, in particolare per quanto riguarda un settore immobiliare in continua difficoltà, non si sono ancora tradotte in una ripresa della domanda.
Riteniamo che sia necessario intraprendere azioni più concrete. La svalutazione degli immobili è un fattore che incide significativamente sulla fiducia dei consumatori e dovrà probabilmente passare molto tempo prima che si possa assistere a un’inversione di rotta. È inoltre probabile che i dazi statunitensi, che secondo alcuni mezzi di informazione potrebbero raggiungere il 60%, costituiscano un problema maggiore per la Cina. Crediamo che il dato reale sarà inferiore.
Nell’ambito dell’obbligazionario, nonostante la Fed abbia dichiarato di voler ridurre in modo costante i tassi attuali, che si trovano a livelli elevati, la volatilità dei rendimenti statunitensi è stata considerevole e, rispetto all’inizio dell’anno, stiamo chiudendo i dodici mesi con rendimenti più alti. È probabile che siano in arrivo ulteriori tagli dei tassi, ma a ritmi più lenti e in funzione dei dati. Si è scritto molto in merito ai timori legati all’emissione di debito per finanziare il disavanzo degli Stati Uniti. Per quanto sia vero che una simile eventualità può influire nel breve termine sui rendimenti obbligazionari, in ultima analisi è il ciclo economico a determinare i tassi e riteniamo che il trend dell’inflazione rimanga orientato verso l’obiettivo del 2% fissato dalla Fed. Difficilmente ciò accadrà nel 2025, ma siamo dell’avviso che nel 2025 i tassi della Fed scenderanno anziché salire, a tutto vantaggio degli attivi di rischio. Come già detto, la crescita europea è più problematica e ci aspettiamo che per tutto il 2025 la BCE continui a tagliare i tassi. Ciò implica che nel futuro immediato l’Euro rimarrà sotto pressione rispetto al Dollaro USA.
Parliamo del Giappone: il disimpegno del “carry trade sullo yen” ha contribuito alla volatilità dei titoli azionari nel mese di agosto. La Banca del Giappone ha consentito ai tassi di passare in territorio positivo e la curva dei rendimenti si è normalizzata verso l’alto, segnalando la possibile fine della deflazione per la prima volta nell’arco di una generazione. Si tratta di uno sviluppo positivo per il riequilibrio dell’economia globale.
Il panorama geopolitico rimane preoccupante con due situazioni tragiche e incerte: la guerra in Medio Oriente e il conflitto tra Russia e Ucraina. L’impatto sull’economia globale è stato finora relativamente contenuto, poiché l’aumento della produzione di petrolio negli Stati Uniti ha tenuto sotto controllo i prezzi del greggio, che di fatto sono calati su base annua. Le filiere continuano ad adattarsi al contesto e si trovano in una posizione migliore rispetto al periodo immediatamente successivo alla pandemia di Covid. È probabile che gli sviluppi sul versante dei dazi causino ulteriori cambiamenti nel 2025.
La rapida evoluzione dei mercati e l’ampia dispersione delle performance hanno spinto la rotazione del portafoglio oltre la soglia del 30%. Parte delle scelte sono state di tipo tattico attivo, parte sono state di ribilanciamento del rischio. Quelle principali, pertinenti alla performance, sono descritte di seguito.
1° trimestre – Aumento del 2% dell’azionario USA, con conseguente passaggio a un sovrappeso in questa classe di attivo, operazione finanziata con l’obbligazionario core. Riduzione dei settori della tecnologia e della sanità che hanno attraversato una fase estremamente positiva.
2° trimestre – Leggere modifiche all’interno dell’obbligazionario, tra cui il passaggio ai titoli di Stato francesi da quelli tedeschi per approfittare del maggiore rendimento dovuto all’incerta situazione politica scaturita dalla consultazione elettorale in Francia. Riduzione dell’obbligazionario statunitense in favore di quello asiatico/cinese, viste le prospettive di crescita più deboli.
3° trimestre – Un periodo cruciale, durante il quale abbiamo assistito alla volatilità dell’azionario dovuta alla debolezza dei dati occupazionali statunitensi e al disimpegno dal carry trade sullo yen. Prima di allora, abbiamo ridotto a neutrale il sovrappeso nell’azionario (un posizionamento sia tattico, sia raggiunto per via di una “deriva”) e abbiamo acquistato un 2% di titoli ad alto rendimento e il resto in obbligazioni core. Questa operazione è il frutto della combinazione di una visione tattica e di un’attenta gestione del rischio a livello di portafoglio. Dopo la volatilità di agosto, abbiamo riacquistato azioni finanziando l’operazione con obbligazioni core.
Alla fine del trimestre, quando la Fed ha tagliato i tassi e la Banca d’Inghilterra li ha mantenuti invariati, abbiamo acquistato Gilt britannici con fondi provenienti da Treasury statunitensi.
4° trimestre – Prima delle elezioni negli Stati Uniti abbiamo effettuato ulteriori operazioni di ribilanciamento per ridurre il rischio. Dopo le elezioni e alla luce della vittoria repubblicana, favorevole alle imprese, siamo tornati a sovrappesare l’azionario, con una preferenza per gli Stati Uniti. Il sovrappeso nei titoli ad alto rendimento è stato ridotto e le obbligazioni core hanno subito un riposizionamento, attraverso la riduzione dell’esposizione ai Treasury a lunga scadenza in favore dei titoli cartolarizzati, in particolare i titoli garantiti da ipoteca.
Affrontiamo il nuovo anno con un posizionamento moderatamente prociclico: 1-2% di sovrappeso nell’azionario e 4% di sovrappeso nei titoli ad alto rendimento, equamente suddiviso tra Europa e Stati Uniti. A livello geografico, sovrappesiamo il mercato azionario statunitense rispetto a quello europeo, basandoci sulla traiettoria di crescita relativa. Il pericolo di un eccessivo sottopeso nell’Europa è rappresentato dal fatto che la bassa crescita è la view di consenso e che l’Euro è a livelli storicamente bassi. Qualunque buona notizia potrebbe innescare un movimento al rialzo.
A livello settoriale, i nostri principali sovrappesi sono la tecnologia, i titoli finanziari e i beni di consumo primari, un mix di crescita strutturale, ciclicità e qualità. Tra i sottopesi figurano i materiali e l’energia.
Nell’ambito dell’obbligazionario, sottopesiamo le obbligazioni core in favore dei titoli ad alto rendimento e abbiamo un posizionamento neutrale nella duration, a circa 6,5 anni, con una preferenza per la duration europea, in considerazione di prospettive di crescita più deboli. Ciò significa che stiamo bilanciando una posizione complessivamente prociclica con un posizionamento per certi versi difensivo nell’obbligazionario, qualora la crescita dovesse deludere.
Per i portafogli con Hedge Funds, siamo posizionati in linea con l’allocazione strategica ed esprimiamo una leggera preferenza per le strategie relative value e global macro.
Mantenersi pienamente investiti e avere un posizionamento prociclico per tutto l’anno ha giovato ai portafogli. Sebbene l’obbligazionario core statunitense a più lunga scadenza abbia rappresentato un freno in termini assoluti, se abbinato all’azionario americano per bilanciare i rischi ha consentito di conseguire rendimenti più che soddisfacenti. L’alfa (ovvero l’extra rendimento rispetto al benchmark) è stato determinato principalmente da un sovrappeso nell’azionario statunitense per la maggior parte dell’anno e dalle posizioni nei titoli ad alto rendimento, finanziate con obbligazioni core. Anche le operazioni di trading e ribilanciamento, attuate in chiave tattica, hanno favorito la performance, in particolare nel periodo estivo (a questo proposito rimandiamo al caso di studio). Il posizionamento settoriale relativo ha dato un impulso più che trascurabile ai rendimenti. Quest’anno è stato più importante essere completamente esposti ai settori tecnologici e ai “Magnifici 7”, come è stato per i nostri portafogli. Gli eventi di quest’anno hanno dimostrato perché può essere pericoloso tollerare un tracking error (cioè una deviazione dall’allocazione strategica) eccessivo: la dispersione dei rendimenti è stata infatti molto elevata, come dimostrano i dati Morningstar sulla mediana dei gestori.
Le incertezze sono innumerevoli, sia per via del rischio geopolitico che per quanto riguarda l’amministrazione statunitense entrante. Escludendo questi fattori, riteniamo che il contesto economico dei mercati sia positivo. La crescita globale rimane sostenuta, ma allo stesso tempo il calo dell’inflazione offre alle Banche Centrali la possibilità di ridurre i tassi abbandonando gradualmente le politiche restrittive e ciò rappresenta un fattore positivo per gli attivi di rischio. Le valutazioni dei mercati azionari e creditizi statunitensi sono relativamente congrue, ma riteniamo che lo siano a ragion veduta, visti i dati congiunturali. Ci aspettiamo che la continua crescita degli utili societari sostenga il miglioramento dei mercati azionari e che l’obbligazionario offra performance sostanzialmente in linea con i livelli di rendimento, ma con la possibilità di realizzare plusvalenze nel caso in cui la crescita dovesse rallentare oltre le aspettative del mercato. Non ci aspettiamo che nel 2025 i rendimenti raggiungano gli stessi livelli del 2024, ma siamo dell’avviso che affrontando il nuovo anno completamente investiti potremmo ottenere rendimenti superiori rispetto al semplice possesso di disponibilità liquide. Di fatto, gli investitori dei mercati retail e istituzionali possiedono ingenti quantità di liquidità, che ci aspettiamo vengano impiegate e che rappresentano un ottimo fattore tecnico.
L’importanza degli investimenti multi-asset e di una rigorosa gestione del rischio per il compounding patrimoniale
Il periodo post Covid, caratterizzato da un aumento dell’inflazione e dei tassi d’interesse, si è rivelato difficile per gli investimenti multi-asset, facendo svanire i tradizionali vantaggi della correlazione negativa tra azionario e obbligazionario (cioè il fatto che quando una di queste classi di attivo perde valore, l’altra guadagna). Il punto di partenza di quel periodo è significativo: i tassi di interesse erano a zero o addirittura in territorio negativo per stimolare la crescita. Il 2024 è stato l’anno in cui è tornata la correlazione negativa e ha visto il ciclo dei tassi d’interesse raggiungere quello che, a nostro avviso, è il suo apice.
Per illustrare il concetto, riportiamo di seguito un grafico dell’andamento delle principali classi di attivo a luglio/inizio agosto, quando i mercati sono stati colti di sorpresa da un rapporto su una situazione occupazionale particolarmente debole negli Stati Uniti ed è cresciuto il timore che i tassi di interesse fossero troppo elevati. A inizio luglio abbiamo venduto le azioni da una posizione di sovrappeso, ritenendo che i mercati avessero corso troppo e troppo in fretta. Abbiamo acquistato alcune obbligazioni High Yield, con un rendimento del 7,5% circa, che a nostro avviso offriranno rendimenti simili a quelli delle azioni nei prossimi 12 mesi. Abbiamo inoltre aumentato l’esposizione alle obbligazioni core Investment Grade, preferendole alla liquidità.
Come si può notare, l’azionario ha perso terreno mentre l’obbligazionario core si è rivalutato, con un differenziale di performance del 10% circa in sole 3 settimane. Se fossimo invece passati alla liquidità, avremmo sì evitato il ribasso delle azioni, ma non avremmo avuto l’opportunità di realizzare plusvalenze, offerta invece dalle obbligazioni a più lunga scadenza.
Dopo la flessione dell’azionario, abbiamo riscontrato una “deriva” dei portafogli verso un sottopeso nell’azionario. Non si trattava di un posizionamento che desideravamo mantenere, ritenendo che i fondamentali del mercato non fossero cambiati rispetto al nostro scenario di base. Di conseguenza, abbiamo riacquistato azioni finanziandole con obbligazioni core, che erano salite, e abbiamo bloccato la sovraperformance relativa, perché in seguito le azioni si sono rapidamente riprese.
Riteniamo che la correlazione negativa continuerà a caratterizzare i mercati anche in futuro, ora che i tassi si sono sostanzialmente normalizzati e si trovano sopra il livello che le Banche Centrali considerano “neutrale”, tecnicamente definito come quel tasso che consente una crescita in linea con il trend, senza stimoli né contrazioni. Il più delle volte, azionario e obbligazionario presentano una correlazione positiva, in quanto nell’arco di un ciclo tendono entrambi a produrre rendimenti positivi, ma le fasi di volatilità e di ribasso dell’azionario sono del tutto normali. Mantenendo un portafoglio composto da azioni e obbligazioni a più lunga scadenza, si possono aumentare le opportunità di ottenere rendimenti più uniformi nel tempo ed di trarre vantaggio da tali opportunità di mercato.
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